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TERRA MATER sulle sponde del Gela greco


Alla fine del VI sec. a.C. una piccola colonia greca di Sicilia generava i tiranni più celebri dell’occidente, strizzando l’occhio ad un futuro luminoso. Cleandro, Ippocrate, Gelone, ed ancora, Ierone, Polizelo, Trasibulo, che proprio a Gela ebbero i natali, finirono per controllare l’intera isola, e la città del fiume omonimo gareggiò per un ventennio con Atene e Cartagine. Sin dalle sue origini, la polis aveva saputo imbastire una fitta trama commerciale ordita da ottimi artigiani, ma non le riuscirà di intessere l’intreccio più raffinato: una Sicilia unita in un sol governo. Tra inganni e tradimenti, finte alleanze e tattiche di attesa, l’astro della città continuerà a brillare grazie alla capacità della sua cavalleria, fino a quando, nel 282 a.C., non rimarrà vittima di interessi sempre più inconciliabili. Più di seicento note esplicative, distribuite su centosettanta pagine complete di una ricca bibliografia. Una storia “maledettamente uguale”, da cui emerge il modo d’essere maledettamente uguale di un popolo “sventurato”, quello siciliano, pur tuttavia nella grazia degli dei.

È un libro di piacevole lettura, scritto da un giornalista e da un esperto dei beni culturali, entrambi gelesi: uno nativo e l’altro di adozione. Ecco perché Terra mater. Ma non è solo un libro sulla storia di Gela; infatti la storia di quella importante città della Sicilia antica viene rivisitata nel suo contesto siciliano e mediterraneo, come opportunamente evidenziato nell’introduzione di G.Hölbl. È anche un volume sulla storia della consorella Siracusa, visto con un occhio attento alle sponde del Gela greco e al succedersi degli avvenimenti principali, che qui si svolsero: fino alla distruzione della città, dovuta alla devastazione dei Mamertini del 287 a.C. e allo spostamento della sua popolazione a Finziade da parte del tiranno Finzia nel 282 a.C. Attente e puntualmente intercalate nelle note del libro sono tutte le citazioni degli autori antichi, fra i quali non potrebbe non prevalere Diodoro Siculo. Dopo un primo capitolo sulla preistoria del sito e dell’area gelese, nel quale emergono la presenza di importanti insediamenti dell’età dei metalli nella fascia costiera e la specificità del territorio in relazione alla saga cretese, quest’ultima utile presupposto dell’apoikia rodio-cretese, il libro si addentra nell’hinterland gelese, costellato da insediamenti indigeni di cui conosciamo i nomi (Omphake, Maktorion, Ariaiton, Kakyrion, Inicos, etc.), ma che non sempre si è in grado di identificare singolarmente con i centri abitati citati dalle fonti. Come opportunamente ricordato dagli autori, i siti archeologici dell’entroterra, punti di riferimento per la ricostruzione storica, non sempre sono stati oggetto di ricerche ufficiali; anzi, spesso, sono stati devastati da intensi scavi di frodo che hanno sottratto buona parte del patrimonio e anche della conoscenza storica. Come risulta evidente dalla lettura di tutti i capitoli del libro - ed è in realtà un importante merito degli autori – la storia di Gela non prescinde dalla storia di tutta l’isola: e la ricostruzione storica della città non può quindi essere decontestualizzata dalla storia della Sicilia antica. Dalla preistoria fino ai Sicani e ai Siculi; dalla fondazione dell’apoikia, con il suo primo nucleo di Lindioi, fino alla deduzione delle subcolonie ed in particolare di Akragas (Agrigento) nel 580 a.C., col fine di occupare quel territorio non ancora inglobato nelle chorai delle città greche; dai tiranni fino alla distruzione delle città, compresa Gela, ubicate lungo la costa del Canale di Sicilia; e così via: si percepisce così in tutto il libro lo spirito di uno sviluppo comune dell’isola, pur con le sue notevoli divisioni interne. Sicani e Siculi, Greci e Siculi, Etruschi e Greci, Cartaginesi e Greci, Cartaginesi e Romani si incontrano e scontrano in un libro, le cui coordinate storiche interessano tutto lo scacchiere compreso fra l’Egeo, il Tirreno e il Nordafrica e vengono rivisitate alla luce di una più ampia prospettiva di ricostruzione storica, che ha per argomento centrale, sottointeso e talora anche esplicito, l’intero bacino del Mediterraneo. Gli autori, anche in argomenti solitamente barbosi, se affrontati da specialisti del settore, quali per esempio la demografia delle antiche città siceliote e dei gruppi di popolazione distribuiti nel territorio, rimangono di piacevole lettura, pur mantenendo il rigore scientifico. Gli autori, prudentemente, precisano di aver “giocato” a ricostruire numeri di abitanti anche in relazione alle notizie delle fonti. Per esempio, da Tucidide (VII, 33) apprendiamo che, in occasione della spedizione ateniese, Gela soccorse Siracusa con cinque navi, quattrocento lanciatori di giavellotto e duecento cavalieri (questi ultimi importanti nell’esercito di quella città, come si evince anche dalle raffigurazioni monetali dello stesso periodo esaminate dagli autori con particolare attenzione ai risvolti storici), mentre Camarina le garantì aiuti con cinquecento opliti, trecento lanciatori di giavellotto e trecento arcieri. Mentre appare prudente l’estensione dell’abitato di Gela entro la cinta muraria accolta dagli autori nei cento ettari (ma Gela era certamente più estesa!), Camarina con i suoi centoquarantacinque ettari entro il muro di cinta, quasi tutti interessati da abitazioni, non mi pare potesse essere di molto meno popolosa rispetto a Gela. E in realtà, la parte centro-meridionale dell’isola, da Agrigento a Camarina, era certamente una delle più popolose di tutta l’isola. Su questa parte della Sicilia incisero pesantemente le deportazioni e gli spostamenti delle genti, avvenuti soprattutto all’epoca dei tiranni e, in conseguenza dell’invasione cartaginese, alla fine del V sec. a.C. L’immane Gela ricordata dalle fonti, la cui grandezza era ulteriormente avvertita dal mare per la sua posizione frontale rispetto al golfo, già nel 580 a.C. “deve” fondare Akragas, non potendosi espandere ad Est per la presenza di Camarina. E’ quindi una storia del territorio agricolo, delle fattorie della chora, i cui prodotti sono fondamentali per il sostentamento della polis. Ma quali erano i territori più fertili e le pianure più estese dell’isola, se non la piana di Gela e i contermini campi leontini? I due territori non erano soltanto i grandi produttori di grano e orzo, come ricordano gli autori, che non mancano di sottolineare l’episodio di donazione di grano ai Romani da parte di Gelone, ma anche i luoghi di tragici eventi che videro intere famiglie spostarsi da una città ad un’altra: Leontinoi alla fine del V sec. a.C. accoglieva esuli agrigentini, gelesi e camarinesi, fuggiti ai Cartaginesi. E che la storia di queste genti fosse spesso una storia di massacri e di tragedie familiari, ci viene ricordato in tutto il libro ed in particolare nella rassegna puntuale del succedersi incalzante degli eventi, che caratterizzarono l’isola alla fine del IV sec. a.C.: nel 310 Agatocle fece uccidere quattromila Geloi, seppelliti in fosse comuni extraurbane che ricordano tristemente quelle a noi più vicine nel tempo dei territori dell’ex Jugoslavia; nel 308 Agrigento e i Geloi si rivoltano contro la Siracusa di Agatocle e sono presto imitati da Leontini, Camarina, Enna, Erbesso ed Echetla, i cui territori orbitavano intorno a Gela o i cui interessi comunque coincidevano con quelli delle grandi città meridionali dell’isola; ma già nel 305 Agatocle assumeva il titolo di re, e – ricordano gli autori – risponde al modello dei diadochi (re nel 306), pure accolto da Tolomeo I, incoronato faraone d’Egitto nel 304. La storia di Gela antica era al suo tramonto: qualche anno dopo per opera dei mercenari mamertini e del tiranno Finzia la città veniva prima rasa al suolo e poi definitivamente abbandonata. Gli autori volutamente non trattano la storia di quel territorio, se non per brevi cenni, nei secoli successivi alla distruzione della città. Quando il territorio di Gela finì per rientrare in quello della ricostruita Camarina, pur dopo la distruzione di quest’ultima avvenuta nel 258 a.C., la città non c’era più e aveva preso definitivamente il sopravvento sul baricentro del Canale di Sicilia quello del Sud-est dell’isola, con la sua capitale Siracusa: paradossalmente lo spostamento del baricentro verso Est era iniziato con il gelese Gelone, e Camarina era ritornata a vivere più grande di prima grazie ai Geloi. Eppure non erano mancati gli ulteriori apporti, anche di popolazione, verso Camarina e Gela, che in età ellenistica intrattennero importanti relazioni di parentela con l’isola di Coo: viene persino edito nel libro un testo di papiro egiziano (con la sua traduzione), relativo a un contratto matrimoniale che attesta la presenza di un Kleon da Gela quale testimone per il matrimonio di una Demetria di Coo. Molti secoli dopo ci sarà un’altra città, Terranova, nel luogo della terra mater e in sostituzione di una precedente terra vecchia, di cui si fa un cenno nel libro: la nuova ritornava al posto della mater, rioccupando l’area di Lindioi e della città classica. Anche qui sono puntuali i riferimenti bibliografici sugli studi precedenti. Ma questa è un’altra storia.

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